Ieri mattina di buonora, al terzo trillo di cellulare, una voce familiare ha fatto irruzione sotto le lenzuola, e subito immaginare nuvoloni neri che si avvicinavano minacciosi, pronti a piovermi addosso.
Dall’altro capo, Mrs Gramelot, mia madre.
Ho preferito non sindacare sull’orario, le 6.45, e su quanto fosse un tantino prematuro, svegliare una persona che con buona probabilità avrebbe ambito ad un paio di minuti di sonno in più…. ma tant’è!
Da quando Mr. Silent, il mio babbo, è stato depennato dall’ufficio anagrafe un paio d’anni fa, in quella che è stata la loro camera matrimoniale, è parsa da subito un’eresia abbassare le tapparelle prima di coricarsi. La luce, si sa, non è che si formalizzi e quando vede una tapparella alzata, come lo sguardo in una scollatura, tende ad infilarcisi. Il ciabattare per casa è quindi la logica conseguenza, così pure, per colmare quel surplus di tempo, l’esigenza di inventare sempre nuovi ed improrogabili impegni.
Avesse pensato a brevettarli, avrebbe fatto i soldi.
L’ultimo in ordine di tempo risultava essere il seguente:
“varda, non posso…ho l’impegno coi colombi..son giassotto che mi ascpettano(sc di pesce), sti qua arrivano bresto.” .
Tempo prima, un colombo in evidente stato confusionale, rientrando da una gita fuori porta, doveva aver confuso il nostro garage con uno dei portici di Piazza dei Martiri, e con atterraggio di fortuna ne era planato all’interno.
Ecco, per Mrs Gramelot, la nuova improrogabile incombenza da espletare fin dalle prime luci dell’alba: ristorare il colombo e parenti, che da quel giorno in avanti si sono presentati in numero sempre maggiore. Il lastricato di fronte al garage, in orari di punta, diventa una piccola Malpensa, con mamma che immagino in giacca fosforescente a bandierine a coordinarne gli atterraggi, con la testa a fare da torre di controllo…quello che in fondo, ha sempre fatto.
Col tempo, sti volatili, si sono pure allargati e quando “la hostess” tarda con i vassoi, fin dal salotto li si può udire in una serie di versi, che definirei canti “pre-colombiani”. (vabbè..cazzata!)
Come un S. Tommaso di quartiere, avrei creduto solo dopo aver visto.
“vedi…tu non gredevi..stanno guardando insù perchè mi scercano…sanno cheddamè si mangia astaora mi stanno giacchiamando non li sendi?!
Effettivamente per sendirli li sendivo….
Tolto il camice del dottor Divago, la richiesta di Mrs Gramelot, in quella telefonata, era perentoria.
L’avrei dovuta accompagnare al paese natale, Bojano, provincia di Campobasso, a trovare il fratello, lo zio Mario, 92 anni, ricoverato per un qualcosa che non è stata in grado di spiegarmi. Sulle prime, ha iniziato a vomitare termini medici alla cazzo che pareva la recita a memoria del bugiardino di un farmaco, quando però ha concluso con: “non dobbiamo disperderlo nell’ambiente” ho capito che era quello che stava succedendo.
Bojano, dovesse esservi sfuggito, è un paesetto del Molise, famoso per un’unica cosa: la (J), nel centro del nome.
Ci sono stato solo un paio di volte di cui l’ultima una ventina d’anni fa allungando la traiettoria da Roma, dopo un provino per un film di Monicelli…..ricordo vagamente che la parte era stata assegnata ad un altro. Credo sia andata così! 🙂
Quella era stata l’ultima volta che avevo avuto modo di approfondire con lo zio Mario. Un clone di Mrs Gramelot, ma con barba leggermente più ispida.
Di lui ho un ricordo abbastanza vivido.
Difficile da dimenticare.
Nel corso degli anni, è sempre passato in visita alle sorelle annord, ogni volta creando scompiglio, facendole preoccupare per il solito motivo: prendeva a camminare e spariva per delle ore senza avvisare nessuno. Usciva di buon’ora, con quel suo, “esco alla passeggiatina”, e potevi star certo che rientrava nel pomeriggio, dopo che naturalmente noi “giovani”, come trottole, avevamo girato alla ricerca di quel ultra 80enne che dopo 6 ore, poteva essere ovunque.
“uagliò..non vi preoccupate chehoppassato di peccio”. Quando al rientro le sorelle lo smazzolavano di parole.
Effettivamente, qualcosa di peggio l’aveva passato.
Di questo suo imperterrito incedere, e dai racconti che ne facevano le zie, ne avevo tratto una teoria plausibile.
In giovanissima età, allo scoppio della seconda guerra mondiale, era stato spedito al fronte. Dopo qualche mese, però, catturato dai tedeschi, aveva trascorso parecchi mesi di prigionia. In modo rocambolesco, che non ha mai spiegato per intero, era riuscito a fuggire e “semplicemente” camminando per decine di kilometri ogni giorno, era rientrato al paese, si era seduto al bordo della fontana della piazza ed aveva preso ad aspettare.
Ho la quasi certezza che quella fuga gli avesse dato l’imbeccata, tanto che da quel momento, come un Forrest Gump d’annata, non riusciva ancora a fermarsi.
Normale, quindi, che con la memoria di quei 1500 km, le 6-7 ore di cammino, andando in posti che dalle sue descrizioni non riuscivamo mai ad identificare, era “‘napasseggiatina”.
Se il ricordo della prigionia ha spesso devastato la mente di chi l’ha vissuta, per lui, l’averla scampata sulle sue gambe, credo avesse creato l’esatto contrario.
Un’euforia costante.
Teneva appiccicato addosso l’argento vivo.
Rideva continuamente per qualsiasi stupidaggine, e più rideva, più le lacrime scendevano copiose, esagerando forse, consapevoli che solo grazie all’ilarità ottenevano il permesso di sgorgare da quegli occhi blu.
O così o niente!
Il dolore sembrava bandito.
Sempre sopra le righe! Con la sensazione che su quelle righe ci poggiasse sopra il naso, non avessi avuto la certezza che per pippare, in tarda età, o vivi in un romanzo di Pennac, o gestisci una casa automobilistica a Torino.
(naturale conseguenza la produzione della Duna e la Multipla).
Il sorriso, come una sciarpa al vento, gli svolazzava costante sul viso e nonostante fosse astemio, gli vibravano sottopelle dei capillari da alcoolista, come ragnatele rosse che scendendo, andando ad unirsi agli angoli della bocca.
La cosa che più lo sorprendeva, più dell’essere uscito vivo dal campo di prigionia, era la risposta che riceveva alla sua fatidica domanda.
Succedeva con chicchessia, capitò anche con Miss X, (mia Ex) l’ultima volta che ci siamo incontrati.
“signorì…permettetemi di dire chettenete un aspetto bellofresco”, continuando.. “mi dica signorinabbella, mavvoi… sapete pure leggere?
Ogni volta, stupore vero!!
“ahh…i miei complimenti signorì…”
Poi verso di me: “uagliò…hai fatto bene a tenerne una studiata”
Ora, il pensiero di immaginarlo, immobile, sotto delle lenzuola rimboccate, un po’ stride.
Speriamo almeno, abbia la pazienza di aspettarci, prima di riprendere il cammino.